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lunedì 2 ottobre 2017

Krane - Pleonexia

#PER CHI AMA: Post Metal, Russian Circle Mono
La scena di Basilea e della Svizzera in generale, inizia a brulicare di band, grazie all'enorme lavoro di scouting che la Czar of Crickets e le sue suddivisioni stanno facendo sul territorio elvetico. L'ultima scoperta sono questi Krane, band formatasi nel 2012 e con all'attivo un primo album, 'Ouroboros' uscito nel 2013. Poi un silenzio durato ben quattro anni, rotto finalmente dall'uscita di questo 'Pleonexia' e dal consolidamento di una più stabile line-up. Il genere proposto è un post metal strumentale, ovviamente con tutte le sue sfumature ambient/post rock e la peculiarità di essere addirittura un concept album di carattere bellico. Il risultato? Notevole, senza alcun dubbio, anche per chi come me non ama i dischi privi di una porzione vocale, anche se qui sarà attenuata dalla presenza di parti parlate. Il ritmo dopo l'intro si fa subito incalzante, i chiaroscuri delicati, i saliscendi memorabili: vi basti ascoltare la meravigliosa "I: Strategic Level", rimarchevole per i suoi suoni, per il riverbero delle sue chitarre, per le celestiali melodie, per quel suo mood malinconico ed autunnale che affiora nei suoi larghi spazi ambient. Un disco in bianco e nero, assai raffinato che mi sento di suggerire a tutti coloro che amano band quali Russian Circle o Mono, ma anche Isis o Cult of Luna, visto che i chitarroni più pesanti pescano a piene mani dai gods del post metal. Non mancano gli intermezzi elettronici corredati da spoken words ("Destabilisation") e da una musicalità che richiama le colonne sonore di Hans Zimmer (quello di 'Inception' o de 'Il Codice Da Vinci' per intenderci). "II: Operational Level" è una song di dodici minuti, avvolta da una tribalità militaresca accompagnata da tonnellate di riff post metal, che trovano una prima pausa a metà brano, grazie alla comparsa di spoken word e che poi tornano a macinare corpose linee di chitarra affiancate da atmosfere sognanti. Forse un po' troppi dodici minuti, ma sicuramente il suono circolare che emerge dalle note della track, trova comunque il suo perché. Il riffing si fa più mastodontico nella quinta "III: Tactital Level", song seppur più breve, ma di grande impatto strumentale. Tuttavia devo ammettere che quel quid che mi aveva particolarmente entusiasmato nella prima vera song dell'album sembra un po' scemare nel corso del disco. Ma parliamoci chiaro, se l'inizio del cd viaggiava su altissimi livelli, qui ci siamo assestati su una qualità comunque davvero buona. La traccia, a parte l'incipit urticante, nella sua seconda metà si affida a toni ben più compassati, anche se poi gli slanci energici non si faranno mancare negli ultimi due minuti del brano. "Combat" sembra essere la continuazione della precedente, con quel suo ritmo tirato ma con una durata alquanto striminzita (meno di due minuti). A chiudere 'Pleonexia' ci pensa l'ambient/noise di "Aftermath", con quel suo surreale dialogo che sembra essere la trasmissione di coordinate di guerra per l'abbattimento di un qualche obiettivo militare. I Krane alla fine hanno partorito un buon album, che sicuramente ha ancora qualche spigolatura da smussare ma che certamente avrà modo di incuriosire frange di fan di qualunque genere. (Francesco Scarci)

(Czar of Crickets - 2017)
Voto: 80

https://www.facebook.com/kranepost/

domenica 1 ottobre 2017

Grift - Arvet

#FOR FANS OF: Depressive Black Metal
Eric Gärdefors' anguished and depressive black metal project, Grift, continues in its smooth, intimate, and captivating approach with another desperate cry into the untamed wilderness. The lonely house that Grift built, residing twixt the trees of a desolate forest and lying unlit under an ashen sky, is the prison of an isolated mind that dwells on the inherent insignificance of existence while awaiting inevitable demise.

Folksy acoustic guitars with pattering traditional drums, wailing cries both high and low, and a dive into the fury of fleeting black metal riffs characterize “Flyktfast”, Den Stora Tystnaden”, and “Utdöingsbygd” as genuine and significant standard metal affairs among a catalogue of introspective and disillusioned lyrics. After two minutes of a desolate and creeping intro, where the serenity of a quiet resonating cymbal tolling between creaks of wood is interrupted by distant cries, a barking dog, and a drop into Grift's most energetic song on this album, “Glömskans Jrtecken” harnesses its lonesome atmosphere in a tumble of emotions. The relentlessly kicking rhythm buffets long, drawn out guitars that longingly ring like organs, yearning to recapture a long lost mental state, stuck in a fleeting moment that is impossible to hold onto after conjuring a shadow if itself in retrospect. Lyrically, the song describes the somber revelation that memories merely malform over time. Through an easily-convinced naivete, minds that sought signs of the 'urkraft' or primordial force that has awakened mankind's cognition were simply imagining, never witnessing the spirits manifesting themselves in the greatness that so deluded such a once-impressionable youth.

The avant-garde moments of this release make up the majority of “Morgon På Stromshölm”, with its four minutes of birdsong, cymbal tinks, and a grating violin taking over the final minute of the track. “Nattyxne” embraces its desolation to drag the guitars through begrudgingly beautiful tones while assuring the listener that, despite all the pleasing sounds and picturesque landscapes it conjures, the tone of this album remains firmly entrenched in its dispirited disposition. Emotionally impactful, Grift's 'Arvet' is an unheard cry for help as the production fills the air with the moisture of falling tears and mesmerizing melancholic measures. The understated intensity of this album, lurking in the shadows before pouncing in “Utdöingsbygd”, creates a reversed rhythm crushing its own heart and wallowing in its self-absorbed misery while maintaining a firm grip on the desolate black metal structure that culminates in the swing of tremolos and blasts. (Five_Nails)

(Nordvis Prod - 2017)
Score: 75

https://nordvis.bandcamp.com/album/arvet

Khoy - Negativism

#PER CHI AMA: Punk/Post Hardcore
I Khoy sono una band divisa tra Torino e Biella, affiliata alla scena punk/hardcore, che ha rilasciato questo EP digitale di cinque pezzi durante l'estate. Le coordinate musicali di 'Negativism' si affidano a sonorità dissonanti che solo nel loro approccio incazzato e rozzo ci potrebbero ricondurre al punk. La opener "My Love For You Is Like A Truck Berserker" sembra più un pezzo che ammicca allo shoegaze mentre è con la seconda "Tapeworm" che si scorgono le influenze più datate della band, anche se le linee scorbutiche di chitarra evocano band più avanguardiste (penso ai Virus), ma con la classica impostazione vocale del genere si perdono i retaggi più raffinati della band, che emergono alla fine in inattesi break acustici. La velocità di "Misleading Existence For Fancy Thinkers" potrebbe ricondurre ad un ipotetico ibrido tra math e post black in salsa punk, ma poi la band si diverte tra chiaroscuri efficaci che rendono la proposta dei Khoy appetibile anche per chi non si ciba quotidianamente di post punk, come il sottoscritto. Quindi non posso far altro che lasciarmi trasportare dalle melodie oscure ed affascinanti del quartetto piemontese, dalla disperazione vocale di "Whorehouse" e da quel senso d'inquietudine che permea l'intero lavoro dell'act italico. Un bel bestemmione (io avrei evitato, è più un approccio da teenager per farsi notare) apre l'ultima traccia del lotto, "That One Time I Got Drunk Before 2 p.m.", una song bella tirata che probabilmente più si avvicina ad un'impostazione moderna del punk/crust/posthardcore e che forse mi risulta più indigesta. Alla fine 'Negativism' è un lavoro che merita un ascolto in quanto si fa notare per diversi spunti interessanti che non faranno la gioia dei soli fan punkettoni. (Francesco Scarci)

venerdì 29 settembre 2017

Baroness - Red Album

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Stoner/Sludge, Mastodon, Isis
Sono passati esattamente dieci anni dal debutto degli statunitensi Baroness (dopo due ottimi EP dello scorso anno). Era il 2007 quando ci fu infatti l’esordio di questa band proveniente dalla Georgia, che fu un vero fulmine a ciel sereno per il sottoscritto. Undici tracce di suoni a cavallo tra sludge, stoner rock, psichedelia e death, che facevano ben sperare per il futuro di quest’entusiasmante band. Si parte alla grande con “Rays on Pinion”, song che delinea, dopo una lunga suggestiva intro, la direzione musicale intrapresa dal combo di Savannah: influenze derivanti da Isis e Mastodon in prima linea, coadiuvate dall’insana follia dei Neurosis, contraddistinguono infatti 'Red Album'. La successiva e ammaliante “The Birthing” ci mostra il connubio possibile tra il southern rock’n roll e il death metal, passando attraverso ipnotici e conturbanti passaggi doom. L’album continua a crescere di intensità anche con le successive “Isak” e la lisergica “Wailing Wintry Wind”, mostrando come sia intelligente riutilizzare linee di chitarra vecchie ma assi catchy, di 30-40 anni fa (di scuola Led Zeppeliniana per capirci), in un contesto moderno e più duro. Stupendo poi l’intermezzo folky “Wanderlust”, un vibrante arpeggio di un paio di minuti che spiana la strada a “Cockroach En Fleur” e alla seconda parte del disco, forse più intricata e di difficile ascolto. Rock, swing e un groove pazzesco si plasmano alla grande con la durezza dello sludge/stoner; ottima la performance vocale di John Baizley, una specie di ibrido tra Ian Astbury dei The Cult e il vocalist dei Mastodon. Eccezionale anche la prova del drummer Allen Blickle (ascoltatevi l’altro intermezzo “Teeth of a Cogwheel”), potente, preciso e creativo. Che grande debutto per una band dal futuro “oscuratamente” luminoso... (Francesco Scarci)

(Relapse Records - 2007)
Voto: 85

https://baroness.bandcamp.com/album/red-album

Ungraved Apparition – PULSE_0

#PER CHI AMA: Dark/Death/Black, Lifelover
Capitanati da una voce dal potere terrificante, la band russa degli Ungraved Apparition approda al suo primo full length attraverso Grimm Distribution/Satanath Records, in forma strabiliante. Un death metal di vecchia scuola, rallentato sulla falsariga di un sound di matrice doom caratterizzato da un'attitudine malata in odor di suicide black metal. Il suono seppur glaciale cede spazio alla melodia mantenendosi comunque ruvido nella sua corposità e nelle vocals, che non lasciano spazio a voci pulite. Come nel migliore degli incubi, con l'ascolto di 'PULSE_0' ci si immerge brano dopo brano in un vortice di emozioni orrorifiche, perverse e depressive, che ammaliano e catturano l'attenzione di chi ascolta. Un concept incentrato su una sorta di viaggio tra la vita e la morte di pazienti all'interno di un ospedale, dove chirurghi dallo humor nero e dal sadico sarcasmo, operano su pazienti inermi che ancora devono capire se il loro destino sarà giacere in eterno tra buio e umidità o se sperare in una salvezza dell'anima. Suoni sinistri, quadrati, potenti, composizioni originali e fantasiose, spesso anticipate da interludi che ne aumentano il tono dark, maligno e perverso. Per comodità, sottolineerei i primi tre brani del disco, a dir poco memorabili. Un ruolo fondamentale poi lo gioca, come detto, la performance del vocalist Damned che canta con una voce abrasiva ed in lingua madre (almeno presumo dai titoli) ottenendo splendidi risultati, calcando sempre pesantemente la mano su atmosfere oscure e presagi a dir poco spaventosi. Belle le aperture chitarristiche di matrice primi Paradise Lost cosi come buona è la produzione del disco, ideale per il tipo di prodotto, con quei suoi inserti d'atmosfera che ricordano band come Psychonaut 4 o Lifelover. La copertina tende ad indirizzare l'ascoltatore verso ambienti più duri del tipo grindcore o brutalcore, rivelandosi altresì ingannevole ma comprensibilissima se si conosce l'intento tematico dell'opera. Uno stile particolare, un modo di intendere il dark metal assai originale, un lavoro cerebrale e affascinante in tutta la sua drammaticità. Ottimo album! (Bob Stoner)

giovedì 28 settembre 2017

Cruel Experience - Lives of Ugly Demons

#PER CHI AMA: Psych/Stoner/Punk, Sonic Youth
I Cruel Experience sono Efisio (voce/chitarra), Nicola (chitarra), Andrea (Batteria) e Thomas (basso e voce), nascono a Lucca nel 2013. Hanno all’attivo un doppio Ep, 'Save the Nature, Kill Yourself' e un singolo raccolto nello split '70s, 80s, 90s Suck Split'. Questo 'Lives of Ugly Demons' (L.O.U.D.) è il loro vero album d'esordio; dopo una bella gavetta nella scena locale i quattro musicisti decidono infatti di appoggiarsi alla cordata di label formata da Santa Valvola Records/Annibale Records/Brigante Records & Productions/Dadstache Records, per fare il tanto desiderato salto di qualità. Il cd si presenta in un digipack rosso con una grafica in chiave horror anni '70 misto a fumetti con un look che richiamano il secolo scorso (mamma mia, sembra una vita fa). I testi delle sette tracce sono stampati su un flyer/poster a parte che fa gongolare chi come me, adora leggere per cogliere a meglio il lavoro delle band. "Highway Of Lies" è il brano in apertura che ci scaraventa nel mondo punk/psichedelico/grunge dei nostri amici lucchesi, ove l'inizio è dominato da un basso che rotola minaccioso come nei migliori brani stoner, poi con l'arrivo di chitarre e batteria, il brano si trasforma. Il cantato richiama le atmosfere punk inglesi mescolato a riff più grossi che si spezzano dopo poco per un lungo break psichedelico pieno di riverbero e grandi spazi metafisici. Verso la fine il pezzo riprende il tema iniziale accelerando vorticosamente e arricchendosi di un assolo leggermente dissonante che lascia senza fiato l'ascoltatore dopo oltre sei minuti di canzone. Riprendiamo con "Loud" e cambia l'approccio mantenendo questa volta il punk come genere di riferimento per il ritornello, ma che si veste anche di atmosfere new wave nella strofa. Il tutto si svolge in meno di tre minuti mascherati da una patina di ironia che denuncia il malessere urbano ed esistenziale, il tutto riflesso nei suoi arrangiamenti rabbiosi. I Cruel Experience si autodefinisco fuori dagli schemi e non possiamo che dar loro ragione: quando attacca "Bite the Light" infatti veniamo rapiti dal riff introduttivo sospeso tra psichedelia e grunge. Un brano poliedrico, fatto di stacchi lenti e accelerazioni che verso i tre quarti s'incupisce per poi esplodere in una cacofonia isterica e furibonda. "Help me Wizard" è degna di una band avvezza al doom più lisergico che ricorda lunghe notti passate sotto le stelle a ballare furiosamente intorno ad un falò gigantesco, con scintille che salgono al cielo come anime che trasmigrano ad un livello superiore. Tanta energia, basso e batteria sgomitano impazziti mentre le chitarre si destreggiano tra riff e arrangiamenti che strizzano l'occhio a band di vecchia data. Un gran bell'album che attinge a piene mani dalla scena internazionale punk/rock/noise, rivisitando quello che Sonic Youth ci hanno insegnato e creando un proprio mix che ammalia il nostro io interiore. Lunga vita ai Cruel Experience, che possiate regalarci altre piccole e fantastiche perle come questo 'L.O.U.D.'. (Michele Montanari)

(Santa Valvola Records/Annibale Records/Brigante Records & Productions/Dadstache Records - 2017)
Voto: 80

https://cruelexperience.bandcamp.com/album/lives-of-ugly-demons

The Pit Tips

Francesco Scarci

Mesmur - S
Distant Landscape - Insights
NevBorn - Daidalos

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Matteo Baldi

Breach - It's me God
Pink Floyd - A Saucerful of Secrets
Om - Pilgrimage

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Alberto Calorosi

Motorpsycho - The Tower
Julie's Haircut - Our Secret Ceremony
We Hunt Buffalo - We Hunt Buffalo

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Five_Nails

Akercocke - Renaissance in Extremis
Car Door Dick Smash - Dong Mangler EP
Inverted Serenity - Integral

Since the Flood - No Compromise

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Hardcore, Terror, Hatebreed
Alla Metal Blade credo che gli siano serviti parecchi anni prima di rendersi conto che avevano rotto i coglioni con tutto il metalcore che hanno proposto. Ho ascoltato centinaia di band dedite a tale genere proveniente dall'etichetta tedesca; quelle che avevano effettivamente qualcosa da dire, di non scontato intendo, si contavano sulle dita di una mano. I Since the Flood stanno nel calderone di gruppi un po’ piattini, di quelli in cui le parole personalità, originalità e buon gusto, non sanno dove siano di casa. Mi spiace stroncare sin in apertura un lavoro di questo tipo ma, 12 brani, per mezz’ora di musica, non giustificano assolutamente l’acquisto di tale cd. Mi veniva da ridere leggendo commenti del tipo che i Since the Flood potessero essere i nuovi emuli degli Slayer; una cosa è certa, erano (si sono infatti sciolti l'anno dopo questa porcata) sicuramente anni luce lontani dalla band di Tom Araya e soci, sia per il sound proposto che per la velocità d’esecuzione. Questi ragazzi suonano, infatti, un metalcore figlio delle ultime tendenze, un mix tra sonorità alla Hatebreed e Buried Alive. Pezzi brevi, semplici, diretti, tipicamente hardcore si stampano sulle nostre facce, garantendoci 30 minuti di selvaggio headbanging e niente di più. I brani poi si assomigliano inevitabilmente un po’ tutti; alcuni sono identificabili per qualche raro rallentamento, in grado di assicurarci un attimo di tempo per riprendere fiato. Gli ossessionati dell’hardcore diano pure un’ascoltatina, gli altri si astengano. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2007)
Voto: 50

https://www.youtube.com/watch?v=Cxf3wX0Yu-U

Nile - Legacy of the Catacombs

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Techno Brutal Death
Per chi conoscesse poco dei primi quattro album dei Nile, la Relapse Records rilasciò nel 2007 'Legacy of the Catacombs', raccolta “best of” per la band statunitense che includeva brani provenienti da 'Amongst The Catacombs of Nephren-Ka', 'Black Seeds of Vengeance', 'In Their Darkened Shrines' e 'Annihilation of the Wicked', oltre ad un bonus DVD con tre video ufficiali, “Execration Text”, “Sarcophagus” e “Sacrifice Unto Sebek”. Cosa però dire di una band, che solo pochi oramai non conoscono e che in vent'anni è diventata la numero uno nel panorama metal estremo? La raccolta pesca qua e là nella discografia dei nostri, mostrando la loro evoluzione sonora, ossia il cammino che dalle rive del Nilo li ha portati fino alle porte dell'inferno. Gli esordi dei nostri, e intendo quindi brani come “Barra Edinazzu”, “Howling of the Jinn”, “Masturbating the War God” e “Black Seeds of Vengeance”, sono caratterizzati dal famoso stile egizio, fatto sì di brutalità, ma con quegli intermezzi atmosferici legati alla tradizione egizia, che li ha resi famosi nel music biz. Man mano che progrediamo con le produzioni più recenti della band, il sound si indurisce ulteriormente (come se ce ne fosse stata la necessità), abbandonando quasi del tutto quei tipici fraseggi orientali che caratterizzavano il sound del trio americano, lasciando il posto ad un ultra tecnico brutal death, che nel mondo non credo abbia rivali. I tre video invece? Beh, sono tutti da scoprire... Se siete dei fan della band, immagino che i loro dischi li abbiate tutti; se invece siete dei novelli deathsters, beh qui potreste aver modo di capire di che pasta sono fatta i Nile. Al mondo non esistono rivali. (Francesco Scarci)

(Relapse Records - 2007)
Voto: 75

https://www.facebook.com/nilecatacombs

Owun - 2.5

#PER CHI AMA: Kraut Rock/Cold Wave/Noise
Percepirete ovunque sconquassamenti noise, marcatamente industriali, ammiccanti a certa avant-garde krautofila anninovanta-e-persino-oltre ("Araignée", ma pure le white-noise roboanze di "Frost", la noiosa luccicanza extraterrestre della conclusive "Raison") sovente collimati da una impellente ricerca del climax (il motorik di "I.A.", in apertura, lieviterà fino ad auto-dissolversi in un prevedibile deliquio noise, fate attenzione agli occhi) di chiara ispirazione post-rock-anni-inizio-duemila-e-persino-prima, alla Mogwai, giusto per intenderci (sentite l'intrigante, sebbene un filino dilungante, "Tom Tombe"). Le reminescenze '80s si conglomerano imprescindibilmente e inevitabilmente attorno ai primi Sonic youth ("All of Us"), ai King Crimson più Discipline-ati (il corpus di "Foul"), o ancora la wave ("Orange") barra no-wave ("Post", di nuovo "Foul", ma solo nell'industrioso finale, ossessivo e circolare). Un album egualitario e magnetostatico, intrigante, cerebrale eppure analogamente viscerale. Ascoltatelo attentamente, sorseggiando un gustoso cocktail balneare a base di di psilocibina e idrolitina. (Alberto Calorosi)

mercoledì 27 settembre 2017

Persona - Metamorphosis

#PER CHI AMA: Symph Metal, Epica
Ci eravamo lasciati lo scorso anno con il loro album d’esordio, 'Elusive Reflections', che aveva rivelato le potenzialità della band, improntandosi su un solido power-symph, gradevole seppur non esageratamente innovativo. Quest’anno i tunisini Persona si ripresentano con il loro nuovo lavoro in studio, il full-length 'Metamorphosis'. E avvertiamo subito un aggiustamento di tiro rispetto al precedente lavoro: seppur più caratteristico nelle scelte stilistiche, il primo album presentava al suo interno qualche avvertibile fragilità. Con 'Metamorphosis' invece approdiamo indubbiamente ad un operato di più ampio respiro, frutto di scelte studiate e composizioni ben curate. A partire dal clavicembalo di “Prologue”, assistiamo al crescendo complessivo del disco, seguendo le fasi di questa metamorfosi fino al suo culmine, la liberazione, l'epilogo affidato a “The Final Deliverance”. All’interno di questi 12 brani si può notare tutta l’evoluzione compositiva e tecnica effettuata dalla band. Le continue oscillazioni e i repentini passaggi di Jelena Dobric dalle tonalità più soavi alle potenti linee di growl, si fanno leit-motiv dell’intero disco. Si avverte come la cantante afferri decisamente le redini dell’ensemble, ricamando le liriche sull’alone gothic di oscure atmosfere che avvolgono l’album fin dalle prime note. Pad e soprattutto organi sono determinanti in questo caso, frutto di un pregevole lavoro alle tastiere. Notevoli sono i numerosi passaggi squisitamente tecnici, caratterizzati dalle continue alternanze di tempo, che condiscono l’opera, altro esempio della migliorata qualità compositiva del gruppo. Frequenti sono anche le decise e spregiudicate accelerate, guidate da un drumming imperioso, sviluppando una fragorosa potenza che spezza i più pacati equilibri melodici. Ritroviamo in 'Metamorphosis' anche diversi richiami al primo album, con sonorità e passaggi “esotici”, sfruttando particolari scale musicali che conferiscono quel tratto “orientaleggiante” ai brani (per esempio in “Hellgrind”). Sul finale da segnalare un pezzo in puro stile Epica, profondamente melodico e atmosfericamente curato, “The Seeress of Triumph”, prima della traccia in chiusura già citata, “The Final Deliverance”. Quest'ultima alleggerisce nettamente i toni rispetto al resto, in quanto si trova dover simboleggiare la salvezza finale dell’essere dopo questa serie di trasformazioni. Che dire, quest'ultimo disco dei Persona è indice dell’impegno e della dedizione che questi ragazzi hanno impiegato per migliorarsi sotto molteplici aspetti. Un risultato che premia gli sforzi, poiché la qualità dell’album di debutto viene ampiamente superata e deve fungere da incoraggiamento per la band, intrepida ed insolita portavoce del metallo nell’Africa Nord-occidentale, a fare ancora meglio per gli anni a venire. (Emanuele Norum Marchesoni)

martedì 26 settembre 2017

Non Human Level - S/t

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Thrash, Darkane
Attenzione, questo album è una bomba, maneggiare con cura!!!! Dovrebbe sicuramente riportare queste indicazioni la custodia esterna di questo cd, che per chi non lo sapesse rappresenta il side project di Christofer Malmström, chitarrista dei Darkane. Il cui presente cd racchiude infatti, le idee mai espresse da Christofer fin dal debutto del ’99 della sua band madre. Così, accompagnato dall’ex bassista dei Meshuggah, Gustaf Hielm, dal suo fido compagno nei Darkane, Peter Wildöer (alla voce) e dal batterista della band di Devin Townsend, Ryan Van Poederooyen, Christofer ha dato vita al progetto Non Human Level, dal titolo di una canzone della sua band precedente, gli Agregator. I quattro baldi ragazzoni suonano un’esplosiva miscela di death/thrash con chiare influenze di matrice scandinava unita al dinamitardo thrash stile Bay Area e ad un certo techno death “made in Florida” (Death e Atheist vi dicono nulla?). Questo album si abbatte sulle nostre teste come una scure affilata, maciullandoci le ossa e spingendoci all’headbanging più frenetico, ma allo stesso tempo, è anche in grado di stupirci con trovate sorprendenti come l’utilizzo di un organo da chiesa in “Istincts”o il riarrangiamento di una tipica ballata folk svedese in versione metal o ancora, con intermezzi di chitarra acustica. Ma ciò che vi balzerà immediatamente alle orecchie, così come è accaduto al sottoscritto, è l’eccellente livello tecnico-stilistico dei musicisti, udibile soprattutto nelle debordanti ritmiche e nei talentuosi guitar solos, a cura dello stesso Christofer, responsabile, tra le altre cose, anche dell’eccellente produzione presso i Not Quite Studios di Helsingborg. Bravi e decisamente intensi, i Non Human Level sicuramente potranno piacere ad una vasta schiera di metallari, da quelli più intransigenti, legati al puro death agli amanti delle contaminazioni, fino ad arrivare ai fans più legati ad Iron Maiden ma anche Dream Theater. Ragazzi non esitate un solo secondo nell’ascoltare quello che è stato l'unico lavoro di musicisti che sanno sicuramente il fatto loro. Sorprendenti, brutali, melodici, veloci, ultra tecnici ed emozionanti, questi sono i Non Human Level. (Francesco Scarci)

Erupdead - Abyss of the Unseen

#PER CHI AMA: Brutal Techno Death
Sono rimasto un po' stupito di fronte a questa uscita della Czar f Bullets, death metal nudo e crudo per una band alquanto datata nella scena svizzera. Si tratta dei basilesi Erupdead, in giro dal 2007 e con all'attivo un EP, uno split con i Total Annihilation, e che con questo 'Abyss of the Unseen', raggiungono i due full length nella loro discografia. Del genere abbiamo già detto, un ferale death metal che si evolve lungo le nove tracce contenute, che partono peraltro all'insegna della melodia accattivante di "Fucked Up", una traccia che poi ci spara in faccia tutta la propria furia tra sgroppate infauste, frustate ritmiche e qualche buona apertura carica di groove in stile Dark Tranquillity. Il tiro si fa ancor più incendiario con la seconda "Guns and Roses" (buffa la scelta di questo titolo per una song cosi incazzata) e forse ancor di più con la frenetica "Temple of Baal", dove le voci si palesano sia in growl che con un arcigno screaming. Il problema di fondo dell'album però è che non trovo abbia granché da dire in un genere che in trent'anni credo che abbia esplorato in lungo e in largo tutto lo scibile musicale e che 'Abyss of the Unseen' alla fine arrivi fondamentalmente fuori tempo massimo. Non posso negare che non ci siano cose discrete: il solismo di "Bolon Yokte 'K' uh" non mi dispiace affatto, cosi come l'approccio doomeggiante di "Me First: The Gentleman" che ritornerà anche nella conclusiva title-track. La ricerca di una maggiore forma di originalità ha prodotto "Private Rearmament", una song in cui accanto al grugnito di Sebbi, compaiono anche delle spoken words su un tappeto ritmico come sempre devastante ma che spiccano anche per una certa ricerca in fatto di melodia. Si continua a pestare con "Unhumanizer", una song che mette in luce il lavoro alla sei corde da parte delle due asce, cosi come il mostruoso e dispendioso armeggiare dietro alle pelli di Atz, che sicuramente premiano a livello tecnico le capacità della band. Il resto? Normale amministrazione all'insegna di un death pirotecnico e brutale che tuttavia necessita di una spinta addizionale per poter emergere dalla massa. (Francesco Scarci)

(Czar of Bullets - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/erupdead/